Oggi vi raccontiamo la storia di Jessica e di suo papà Ernesto.
Crescere in albergo è un’esperienza strana…
Avete presente quando i genitori vi urlano “questa casa non è un albergo!”. Quando pensate di entrare e uscire di casa come e quando volete? Ecco, con me non funzionava! Quando sono nata, mio padre (allora ventenne) e mio nonno erano a Madonna di Campiglio per la stagione invernale (d’estate lavoravano in Sardegna), mio nonno è arrivato in ospedale prima di mio papà e credo mia madre non glielo abbia mai perdonato… io sì!
Papà Ernesto ha frequentato la Scuola Alberghiera di Abano Terme (lui è originario di Arquà Petrarca), appena è stato possibile è andato a lavorare in Germania e poi è tornato in Italia e per anni ha viaggiato lavorando in hotel, facendo “le stagioni” tra montagna, lago, mare e città termali.
Ovviamente mamma e papà si sono conosciuti durante una di queste esperienze lavorative, però erano a Salsomaggiore, in uno degli storici grandi alberghi di una Salsomaggiore d’altri tempi.
Come dire… il mio destino era abbastanza segnato.
Quando ero molto piccola mamma, papà, nonno e nonna gestivano un bar nella piazza centrale della nostra città e io passavo tanto tempo con la mia bisnonna.
Poi tutto è cambiato e quando avevo circa 10 anni la nostra si è trasformata in una famiglia di albergatori, era l’albergo Casa Peracchi: lì ho trascorso gli anni più significativi della mia infanzia, adolescenza fino alla mia “quasi adultità”.
La cosa per me più impegnativa era traslocare due volte all’anno, anche per il cane lo era, ricordo che la prima settimana dopo il trasloco tutte le mattine se ne tornava da solo in quella che fino a pochi giorni prima era stata la nostra casa e noi lo dovevamo andare a prendere.
Vivevamo in mansarda, negli “alloggi del personale”, erano tempi in cui a Salsomaggiore i turisti erano talmente tanti che “non si sapeva dove metterli” e l’albergo era sempre pieno: un vero porto di mare. Credo che i miei amici fossero molto straniti dal mio modo di vivere, sempre in mezzo alla gente.
Crescere in un albergo non è un’esperienza adatta a chi ha un carattere chiuso e solitario, ma non era il mio caso, io ero una grande chiacchierona casinista e quella era proprio la mia dimensione ideale. Mamma, papà, nonna e nonno (che è stato un famoso e stimato maitre d’hotel) erano impegnatissimi, li ricordo molto indaffarati ma felici di prendersi cura delle persone che alloggiavano da noi.
Io amavo passare il tempo con il nostro vecchio centralino switchboard, a girare le tante telefonate che arrivavano, inserendo i cavi nei collegamenti delle stanze… immagini d’altri tempi!
E poi mi piaceva un sacco quando le persone pagavano con la carta di credito, così potevo usare il lettore ricalcante, un altro aggeggio che oggi è assolutamente vintage.
Posso dire nella mia vita di aver assistito a una certa evoluzione tecnologica in questo campo!
Ho anche dei ricordi imbarazzanti, come gli spettacolini che tenevo la sera: obbligavo tutti gli ospiti ad accomodarsi nella sala televisione alla fine della cena e io lì mi esibivo in canti e balli che avevo meticolosamente provato per ore e ore; spero tutti abbiano rimosso i ricordi dei miei show serali.
E poi è arrivato anche l’
Hotel Elite (credo fosse intorno al 1995), dove ancora oggi ci trovate, per qualche tempo abbiamo gestito entrambe gli alberghi, ricordo che papà era talmente stanco da uscire di casa spesso con le scarpe spaiate, oppure in camera lo vedevo rispondere al telefono usando il telecomando della televisione.
Abbiamo dopo poco lasciato la Casa Peracchi, che da quel giorno è rimasta chiusa e con lei tantissimi dei miei/nostri più cari ricordi e credo anche tanti ricordi dei più affezionati ospiti della nostra città.
Qualche anno fa il papà ha ricevuto l’onoreficenza di “Maestro del commercio”, la pergamena e la foto della consegna sono esposte all’ingresso dell’hotel, guardandole mi capita spesso di pensare al tempo della sua vita che ha dedicato con così tanta passione al proprio lavoro e a quante cose avrebbe o avremmo potuto fare se avesse scelto un’altra professione.
Ma poi lo osservo mentre chiacchiera con i clienti o serve ai tavoli del ristorante e capisco che semplicemente ha percorso la sua strada, faticosa, impegnativa ma anche ricca di soddisfazioni, incontri e amicizie e soprattutto una strada che ci ha permesso di passare così tanto tempo insieme in famiglia (anche se non eravamo mai davvero soli, si lavorava tutto il giorno e le vacanze e le ferie erano davvero pochissime), e che ancora oggi, dopo così tanti anni, ci vede sempre uniti, e questo è un dono davvero speciale.
La cosa che ammiro di più del papà è la sua tenacia e la sua grande capacità di restare al passo con i tempi, essere albergatori oggi è un’esperienza totalmente diversa da ciò che accadeva fino a pochi anni fa, ci vuole tanto spirito di adattamento e trasformazione per galleggiare in un mercato che i portali di prenotazione hanno reso senza confini e soprattutto molto competitivo, specialmente per una città come la nostra, che ha subito la crisi del termalismo e che con tanta fatica cerca di mantenersi “l’angolo di paradiso” che è sempre stata. E il papà non è più un giovanotto, ma ha stoffa da vendere nel suo mestiere!
Sono grata a questa professione che fa parte di me, nonostante nella vita mi dedichi professionalmente ad altro (e credo non sia un caso che anche questo “altro” abbia a che fare con il cibo e con il benessere delle persone), perché mi ha positivamente plasmato e mi ha permesso di crescere circondata da tante persone che in qualche modo ho sempre percepito si prendessero cura di me, anche solo con un sorriso o una parola affettuosa.
Molti dei nostri collaboratori sono con noi da tantissimi anni e vorrei cogliere questa occasione per ringraziarli di cuore per la loro costante presenza, anche nei momenti di difficoltà, ricordo con gioia la loro calorosa vicinanza quando la mamma ci ha lasciato.
E con loro vorrei ringraziare anche i tantissimi clienti che scelgono la nostra ospitalità da decenni, alcuni mi hanno visto letteralmente crescere (io mi sento la stessa ragazzina di sempre, anche se ora sono mamma e se l’adolescenza è un ricordo ormai lontano!) perché sono un po’ parte della nostra famiglia ed è molto bello poterli riabbracciare tutti gli anni, fino a che la vita ce lo concederà.
Per ora la nostra è una famiglia di albergatori ormai da tre generazioni, chissà cosa ci riserverà il futuro, ma la cosa importante è che siamo ancora qui oggi a darvi ogni giorno il benvenuto!
La ricetta che proponiamo oggi in qualche modo “sa” di famiglia, diciamo che ho sempre dato filo da torcere ai miei genitori per ciò che riguarda il cibo, forse è proprio per questo motivo che oggi riesco a comprendere molto bene le difficoltà delle persone nel loro rapporto con l’alimentazione e posso offrire un aiuto efficace.
Mia madre era un’ottima cuoca, ma per me ci voleva molto altro, seguire tutte le mie divagazioni alimentari non deve essere stato semplice, però poi c’erano quei piatti… quelli che al solo pensiero anche oggi mi fanno venire l’acquolina. I carciofi ripieni sono sicuramente uno di quei piatti, ma non era tanto il carciofo il protagonista, era la micca di pane intinta nell’olio quando la padella era vuota!
La ricetta dei carciofi ripieni rivisitata in chiave veg è tratta dal libro Cucinare secondo natura.
Foto di Infraordinario Studio